Per inquadrare la storia dell'Abbazia di Morimondo è necessario qualche cenno alla storia del monachesimo in generale e di quello cistercense in particolare.
Ecco quindi alcune tappe essenziali:
La parola monachesimo, dalle parole greche monos (solo) e oikia (casa), indica un particolare fenomeno, comune alle maggiori religioni, per cui alcuni individui si allontanano dalla consueta vita sociale per realizzare la propria esperienza di fede, vivendo ogni attività della loro vita come atto di amore verso Dio.
Coloro che scelgono lo stile di vita solitaria si chiamano monaci anacoreti, quelli che vivono in comunità sono detti monaci cenobiti.
Il fenomeno del monachesimo cristiano ha inizio verso il 280 in Egitto e nella Siria Orientale. Il più famoso monaco di questo periodo è Antonio, un giovane egiziano che diventa ben presto il consigliere di altri anacoreti.
Qualche anno più tardi, sempre in Egitto, il giovane Pacomio inizia il monachesimo cenobitico.
In Turchia, intorno al 350, Basilio fonda numerosissimi monasteri che seguono l’esempio di quelli di Pacomio.
Grazie a Benedetto da Norcia (480-546), il monachesimo si diffonde in tutto l’Occidente. Benedetto dà vita ad un monachesimo cenobitico che introduce la novità della stabilità del monaco nella comunità ed in breve tempo la sua Regola, ammirata per la saggezza, l'equilibrio e la discrezione, viene adottata da molti monasteri.
Tra il IX e il XII secolo il monachesimo benedettino diventa l’elemento cardine della cultura e la civiltà europea.
Nell'816 Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno, con l’aiuto del monaco francese Benedetto d'Aniane, fa adottare da un’assemblea di abati la Regola di San Benedetto come la sola valida per tutto l’impero carolingio.
Da allora tutte le abbazie dell’impero, maschili e femminili, diventano benedettine ed intorno ad esse l’Europa comincia a ricostruire il proprio assetto, dopo il crollo dell’impero romano.
Monasteri e abbazie rappresentano anche un grande fenomeno economico e sociale: a loro fanno capo i lavori di dissodamento e di bonifica che recuperano all’agricoltura vaste aree di terreno inselvatichito da secoli di abbandono.
I monaci sviluppano, inoltre, il culto e la cultura, la liturgia e l’arte: ogni monastero ha il suo scriptorium, dove si trascrivono i testi degli autori cristiani e pagani, salvandoli dalla distruzione, e si decorano i preziosi codici con splendide miniature.
Il monachesimo benedettino, pur rimanendo uguale a se stesso nelle sue linee fondamentali, si è adattato alle esigenze storiche, rinnovandosi attraverso molte riforme.
La prima grande riforma ha inizio dall’abbazia benedettina di Cluny, fondata agli inizi del 900 in Francia e divenuta molto importante grazie agli abati Oddone ed Ugo.
La spiritualità dei Cluniacensi si esprime soprattutto nella solenne celebrazione della liturgia. Molte abbazie aderiscono a questo stile di vita e si forma così una congregazione di monasteri che seguono il modello di Cluny obbedendo al suo abate.
L’abbazia di Cluny mantiene stretti rapporti con il Papato e proprio da Cluny nascono i primi progetti di riforma della Chiesa attuati da papa Gregorio VII (1013-1085).
Anche in Italia la vita monastica si rinnova: a Grottaferrata, nei pressi di Roma i monaci Basiliani di San Nilo vivono tra la solitudine e la preghiera, che viene celebrata in lingua greca, secondo la tradizione da cui proviene Nilo; in Toscana i Camaldolesi di San Romualdo conducono una vita caratterizzata dalla componente contemplativa, che genererà grandi mistici e teologi.
All’inizio del XII secolo nascono in Francia gli ordini dei Certosini di S.Bruno e dei Cistercensi.
Nel 1098 San Roberto parte dal monastero cluniacense di Molesme per fondare con altri monaci una nuova abbazia, dove seguire la Regola di San Benedetto secondo la primitiva austerità.
Per edificare il Nuovo Monastero, scelgono Cîteaux, una località pianeggiante e paludosa che in latino si chiamava Cistercium (luogo situato al Cis tertium lapidem miliarum, cioè al di qua della terza pietra miliare sulla strada tra Langres e Chalon-sur-Saone).
Solo dopo Alberico, successore di Roberto, e con l’avvento del terzo abate, Stefano Harding, inizia una grande espansione che viene favorita dalla geniale figura di Bernardo di Clairvaux, il quale si impossessa talmente dell’ideale cistercense da essere considerato il nuovo fondatore dell’ordine.
I Cistercensi, come stabilito nella Carta Caritatis, il testo base dell'Ordine, vivono in abbazie unite dal legame della sussidiarietà, un vincolo di aiuto fraterno attraverso il quale ogni abbazia, in caso di bisogno, viene assistita dalle altre.
Con il nascere e la formazione dei Comuni (metà del XII secolo) la società si trasforma.
Il monachesimo tradizionale entra in crisi e nascono nuovi movimenti religiosi, i più importanti dei quali sono quelli fondati da San Francesco d'Assisi e San Domenico di Guzman.
Gli Ordini francescano e domenicano, nati nel primo ventennio del Duecento, hanno molti tratti in comune che li differenziano dall’esperienza monastica: rifiutano qualunque tipo di ricchezze e per vivere non si affidano al lavoro agricolo, come gli ordini di derivazione benedettina, bensì alla carità dei fedeli; da qui il nome di ordini mendicanti.
Francescani e domenicani usano denominarsi frati, fratelli, e non monaci, cioè uomini solitari, e vivono in conventi, luoghi in cui radunarsi, e non in monasteri, cioè luoghi in cui isolarsi.
I conventi non sorgono più in luoghi distanti dai centri abitati, ma nei sobborghi delle città ed anche l’impianto architettonico delle chiese, destinate ad accogliere numerosi fedeli e non più solo la comunità monastica, si trasforma in base alle nuove esigenze.
Nel ‘400 e nel ‘500 viene istituita la commenda, che consiste nell’affidare la gestione dei beni di un monastero a un superiore che non vi risiede.
Pensata per sottrarre il monastero alle difficoltà dell’ambiente e ai contrasti interni, nella maggioranza dei casi questa soluzione provoca la distruzione di grandi abbazie, perché i superiori, estranei alla vita monastica, si disinteressano dei problemi della comunità e si limitano a percepirne le rendite.
Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) si ristrutturano molti ordini tradizionali e ne vengono fondati di nuovi per combattere le eresie e per riannunciare al popolo cristiano le verità della fede.
I nuovi istituti religiosi, Teatini, Somaschi, Barnabiti, Gesuiti, Oratoriani e Orsoline, si impegnano attivamente nella società svolgendo attività di assistenza, apostolato ed insegnamento.
Vige in essi una mentalità ed una disciplina di impronta militare, da guerrieri pronti a scendere in campo: le congregazioni sono chiamate Compagnie, i loro superiori Generali.
Durante Seicento e Settecento assumono particolare interesse le esperienze dei Carmelitani Scalzi di Santa Teresa d’Avila e dei Trappisti.
E’ con la Rivoluzione Francese che inizia il periodo più doloroso per la storia del monachesimo: migliaia di monaci vengono uccisi e la maggior parte delle abbazie, soprattutto in Francia, vengono distrutte, le comunità e i relativi patrimoni, sia economici che culturali, vengono dispersi. L’opera di distruzione prosegue con le soppressioni degli Ordini religiosi in epoca napoleonica.
I primi decenni del XIX secolo vedono una rinascita monastica in Europa, grazie a personaggi come l’abate Prosper Gueranger, restauratore del monastero di Solesmes e del monachesimo benedettino in Francia.
In tutta Europa i monaci e le monache tornano a rappresentare una presenza di grande richiamo religioso ed umano.
Un altro aspetto del rinnovamento del monachesimo è costituito dal fatto che durante gli ultimi due secoli i monasteri europei hanno dato origine a numerose fondazioni in tutti i continenti.
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